martedì 11 maggio 2010

La frammentazione

E' come avere un milione di pezzi di mosaico che non compongono la stessa figura, che non potranno mai essere assemblati e costruire un'unità, poichè non provengono da un insieme unitario.
D.Libeskind, 1991

La scelta della moltiplicità passa attraverso l'idea di "frattura"; l'integrità dell'opera è ormai compromessa e abbandonata. Non si tratta di un processo di semplice scomposizione o di analitico smontaggio di ogni singolo componente, il processo non è più reversibile.
L'oggetto viene rotto, fatto in mille pezzi, a volte dilaniato come una esplosione improvvisa, altre volte compresso e deformato da una opposta forza implosiva. Il risultato di questo evento, di questo processo più o meno profondo di destabilizzazione interna, è lo scardinamento dei meccanismi di coesione, la perdita dei legami interni, delle strutture sintattiche dell'opera. Anche qui, però, vi sono diversi gradi e intensità. A volte la frammentazione si manifesta come una semplice spaccatura, come un'interruzione netta della continuità fisica e logica dell'oggetto, a volte come una più marcata rottura o instabilità dell'insieme, altre volte ancora come un vero e proprio processo di totale decostruzione. L'idea di frattura può essere individuata nei tagli di Lucio Fontana o nelle opere di Matta Clark che, in particolare, in Splitting, effettua una letterale resezione in due parti di una casa abbandonata.
"Un fatto nuovo della scultura", definiva Fontana le sue opere e, un modo diverso di pensare l'architettura per Matta Clark, per il quale si è detto che "forse il risultato più significativo raggiunto è stato quello di dimostrare che l'architettura può trascendere i confini disciplinari e bussare direttamente alla porta dei sogni".


























Il tema della frattura può amplificarsi, abbandonare la dimensione del gesto minimale anche se dirompente e diventare frammentazione. L'artista francese Arman si fa interprete di estremo e originale di questo tema, tanto da meritarsi l'appellativo di "poeta vandalo". Nelle sue opere dopo aver acquistato alcuni oggetti, molto spesso strumenti musicali, li distrugge con furia improvvisa riducendoli in mille pezzi. Nel suo Chopin's Waterloo l'effetto e sconvolgente; nulla è rimasto, l'insieme dei pezzi, i tasti bianchi e neri, le corde, i martelletti, la stessa cassa armonica sono distrutti e dispersi nell'atto catartico di ricongiungersi al molteplice e al caos primordiale. I mille frammenti del pianoforte, conservati quasi religiosamente nella precisa posizione scaturita, casualmente, dell'azione distruttiva, producono solo una lontana eco della propria integrità originaria.














Nell'opera dell'architetto giapponese Hiromi Fujii o in quelle di molti altri, fra i quali Peter Eisenman, le modalità, le intensità, i tempi sono diversi da quelli dell'artista francese, ma il punto di partenza e il processo decostruttivo nel suo complesso sono i medesimi. In Fujii per esempio il punto di partenza è sempre l'unità. Egli al pari di Arman, sceglie una serie di oggetti integri, di volumi regolari, di parallelepipedi puri, li dispone regolarmente secondo una maglia, un modulo uniforme, poi, attraverso progressive rotazioni, scardinamenti, fratture e sconnessioni, mette in crisi l'intero sistema, fino a definire una configurazione finale in cui le trame, i reticoli, le ortogonalità, si intrecciano e si sovrappongono caoticamente.
Se questa pluralità nasce dalla "frattura" intesa come esplosione, essa può anche essere frutto, al contrario, di un'implosione, di un movimento verso l'interno, configurandosi come una compressione. Un sistema di forze, questa volta dall'esterno all'interno, interviene sulla massa, la modifica, la distorce, turba la sua quiete fino a nascondere la forma iniziale in una nuova forma. E' lo spazio "ripiegato" di Eisenman, dove non esiste più nè orizzontale nè verticale, nè il detro nè il fuori, nè alcun'altra regola privilegiata di costruzione. Tutto si trasforma, senza apparenti regole, come se una pressa stesse schiacciando pareti, solai, strutture, modificando, oltre alla forma, anche la funzione di una singola parte. E' per questo che lo spazio ripiegato, come dice Eisenman, perde ogni contatto con la ragione, con la funzione, con il significato; l'oggetto da razionale diventa emotivo, da funzionale estetico, da univoco plurimo. "L'idea di 'ripiegatura' modifica lo spazio tridimensionale della visione. Lo spazio ripiegato è un tipo di spazio emozionale, che riguarda quegli aspetti che non sono più associati all'affettivo, che non sono più della ragione, del significato, della funzione". Assistiamo a un processo metamorfico che, passando attraverso uno stadio di degradazione, di negazione, di violenza sull'oggetto, giunge alla sua riqualificazione totale, alla liberazione delle infinite potenzialità espressive del materiale, del colore, della massa. Un processo simultaneamente casuale e logico, negativo e positivo, contradditorio ma in fondo assolutamente naturale.

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